Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 01 giugno 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Sindrome di Down: un’analisi multi-omica identifica nuovi target terapeutici. Mohit Rastogi e colleghi hanno realizzato profili multi-omici dell’ippocampo e della corteccia nella sindrome di Down (Trisomia 21 o G) umana, identificando vari processi de-regolati. In particolare, hanno identificato elementi distintivi nell’assonogenesi e nello sviluppo di proiezioni cellulari associati con i deficit di polarizzazione neuronica tipici della sindrome. Questo studio, a nostro avviso, è una notevole risorsa per nuove indagini sulla fisiopatologia cerebrale della sindrome di Down. [Cfr. Neuron – AOP doi: 10.1016/j.neuron.2024.05.002, May 28, 2024].

 

La resezione chirurgica nella terapia dell’epilessia del lobo parietale: una valutazione analitica. La chirurgia dell’epilessia intrattabile del lobo parietale può essere efficace e risolutiva, ma è associata al rischio di gravi deficit neurologici. Gates e colleghi hanno analizzato tutti gli studi condotti in materia da gennaio 1990 ad aprile 2022, realizzando una rassegna ragionata e una valutazione dell’impiego del trattamento operatorio (sarà in stampa il 25 giugno). Sebbene una percentuale significativa dei deficit neurologici post-operatori sia transitoria, vi è ancora un rischio rilevante di deficit motorio. [Cfr. Neurology – AOP doi: 10.1212/WNL.0000000000209322, May 30, 2024].

 

Le basi neurobiologiche della resistenza naturale a traumi ed eventi stressanti. La capacità di molti individui della nostra specie di conservare processi fisiologici e comportamentali normali nonostante l’esposizione a grave stress è definita resilience o “resistenza”. Dopo 15 anni di ricerca sulla biologia della resistenza allo stress, disponiamo oggi di così tante acquisizioni nuove in questo campo da poter radicalmente cambiare l’approccio terapeutico ai disturbi da stress, dal PTSD ai disturbi d’ansia e alla depressione. Eric J. Nestler e Scott. J. Russo presentano una rassegna esaustiva delle scoperte sui processi di natural resilience, utile a psichiatri e psicoterapeuti, oltre che a ricercatori di ambito neuropsicofarmacologico impegnati nella ricerca di farmaci anti-stress. [Cfr. Neuron – AOP doi: 10.1016/j.neuron.2024.05.001, May 24, 2024].

 

Disturbi depressivi: i livelli sierici di GDNF sono connessi col deficit cognitivo. La disfunzione cognitiva conseguente alla fisiopatologia depressiva è stata messa in rapporto a fattori neurotrofici e infiammatori. Pedro Borges de Souza e colleghi hanno rilevato che in soggetti di sesso maschile affetti da disturbo depressivo maggiore (MDD) i livelli sierici di GDNF possono essere indicatori previsionali del rilievo soggettivo di inefficienza cognitiva. [The European Journal of Psychiatry 38 (4): 100258, October – December 2024].

 

Intelligenza Artificiale (AI): OpenAI presenta “ChatGPT Edu” per le università. Presentata come una rivoluzione nell’insegnamento universitario, ChatGPT Edu, potenziata da GPT-4o, è uno strumento avanzato di Open AI concepito per integrare le risorse umane ordinariamente impiegate nelle procedure didattiche accademiche e dei campus. ChatGPT Edu supporta l’analisi dei dati e il ragionamento testuale e visivo, eccellendo anche in procedure matematiche e di codifica; include, inoltre, strumenti per il browsing del web e per riassumere il contenuto di testi. La Wharton University l’ha sperimentata per migliorare le esperienze di apprendimento riflessivo degli studenti, mentre la Columbia University l’ha adottata per un programma basato su comunità e finalizzato a ridurre la mortalità da overdose. [Fonte: Neuroscience News, May 30 2024].

 

La sorprendente precocità dell’apprendistato tecnico degli oranghi di Sumatra. Le abilità tecnologiche degli oranghi di Sumatra, definite “ingegneristiche” dagli etologi, cominciano a svilupparsi molto precocemente. A sei mesi di età, quando i lattanti della nostra specie sono alle prese con il controllo del tronco nel tenere la stazione assisa, i piccoli degli oranghi cominciano già ad esercitare le abilità necessarie a costruire il rifugio abitativo in cima agli alberi, convenzionalmente detto “tana”. L’addestramento va avanti per molti anni, e gli adulti sono capaci di realizzare lavori che hanno pochi confronti fra i primati sub-umani. [Fonte: Elizabeth Anne Brown, Science News, May 2024].

 

La caccia in cooperazione richiede risorse cerebrali minori di quanto si è finora creduto. Da alcuni ricercatori di ambito evoluzionistico, nella ricostruzione delle tappe filogenetiche dell’intelligenza animale, la cooperazione tra due o più predatori per la caccia è stata considerata come un’importante tappa di sviluppo dell’encefalo. Uno studio condotto da Kazushi Tsutsui, Kazuya Takeda e Keisuke Fujii dell’Università di Nagoya in Giappone dimostra che la caccia cooperativa non è evolutivamente associata allo sviluppo di fini processi cognitivi come attualmente si ritiene. In precedenza, in vari studi si è sostenuto che questo modo di procurarsi il cibo costituisce un comportamento sociale complesso apparso nell’evoluzione dei mammiferi, come provano le osservazioni e le descrizioni in leoni e scimpanzé. Per deduzione, a questa cooperazione è stato attribuito un ruolo nello sviluppo dell’intelligenza. Tsutsui e colleghi hanno dimostrato che la caccia cooperativa è presente anche in specie di più basso livello cognitivo. [Fonti: Nagoya University e eLife doi: 10.7554/eLife.85694, 2024].

 

Scoperta una nuova specie di dinosauri carnivori in Argentina. Resti di scheletri fossili trovati in Patagonia (Argentina) hanno consentito di identificare un nuovo genere e una nuova specie di abelisauridi furileusauriani vissuti durante il Cretaceo. Gli abelisauridi, come pressoché tutti i teropodi, erano bipedi carnivori. Pol e colleghi hanno battezzato questa specie Koleken inakayali. Il nome del genere Koleken significa “proveniente da acqua e argilla” nell’idioma locale ed era stato riferito all’olotipo fossile MPEF-PV (resti di cranio e vertebra atlante) trovato nel 2015, ma solo oggi è stato possibile definire questo nuovo genere con un’unica specie identificata nel 2024. [Fonte: Enrico de Lazaro in Paleontology News, 22 maggio, 2024].

 

Una breve integrazione sulle iscrizioni criptiche dell’antico Egitto alle precedenti notule dal titolo: La scrittura criptica: psicologia del segreto, cultura del mistero o semplice necessità strategica, pubblicata in due parti (Note e Notizie 18-05-24 Notule – prima parte; Note e Notizie 25-05-24 Notule – seconda parte) alle quali si rimanda chi non l’abbia ancora lette. È stato osservato che nella prima parte era stato così annunciato un rimando a questo argomento: “Rimandando a dopo il caso delle iscrizioni criptiche sulle tombe egiziane, ossia il più semplice nella decifrazione e il più misterioso nello scopo, prendiamo le mosse dall’uso nel mondo classico, come lo apprendiamo direttamente da Svetonio, che ci riferisce di due casi, quello di Cesare e quello di Ottaviano Cesare Augusto”. Ringraziando chi ha segnalato questa dimenticanza, colmiamo volentieri la lacuna.

Nelle tombe egiziane sono stati reperiti innumerevoli casi di scrittura cifrata, ma il caso che ha maggiormente attratto l’attenzione, perché rimasto avvolto nel mistero, è quello in cui il testo è presentato in due versioni affiancate: una stesura in chiaro, tracciata utilizzando quella gamma di 700-800 segni pittografici egizi che costituiscono la scrittura chiamata geroglifica nella tradizione greca, e una stesura criptica, in un codice praticamente unico. Come si è già accennato, si tratta del caso più semplice di decifrazione, una volta intuito che si tratta dello stesso testo: estraendo i valori semantici dallo scritto in chiaro e riportandoli sulle cifrature parallele, si scoprono facilmente le chiavi di decodifica che valgono per tutto il testo. Ma la questione oscura e ancora dibattuta è il perché: quale può essere il senso di una simile operazione?

Perché scrivere un testo da collocare in un luogo che, dopo la cerimonia funebre, rimane chiuso e inaccessibile? Si può immaginare: per i posteri, per i Faraoni che verranno. E in tal modo si può spiegare l’uso delle iscrizioni funerarie, in generale. Ma che senso ha ripetere lo stesso testo cifrandolo in un codice segreto?

Fra le ipotesi avanzate, due ci sembrano avere una maggiore plausibilità: 1) la particolare cifratura criptica era stata trasmessa o tramandata agli scribi come scrittura donata da una particolare divinità e, dunque, gli esecutori delle iscrizioni possono averla adottata per rivolgersi a quella divinità; 2) la forma criptica si riteneva fosse in grado di conferire alle parole un potere “magico” non posseduto dai comuni geroglifici, che non andavano oltre i valori logografico, fonetico e pittografico.

La tesi del valore magico della scrittura criptica è seguita da Giorgio Raimondo Cardona: “Ma un potente motivo sarà stata anche la consapevolezza della forza magica della scrittura…”[1].

Tuttavia, Cardona non formula ipotesi circa quale sarebbe stato l’effetto immaginato per la versione criptica dei testi funerari, citando invece i casi in cui i geroglifici venivano troncati o alterati perché si temeva che la scrittura completa di alcuni nomi o parole potesse causare sventure o sciagure, secondo una convinzione comune a molti popoli antichi, poi conservata come credenza popolare e sopravvissuta, nel nostro Paese, nella superstizione di coloro che ritengono che il solo pronunciare il nome di un individuo menagramo o iettatore porti immediata sfortuna, causando un fatto o un evento negativo.

Leggiamo in Cardona: “…i molti casi in cui una parola, un nome pericolosi sono scritti con geroglifici volutamente mutilati e censurati, dunque resi innocui, ci fanno capire per converso che una scrizione era efficace solo se completa ed esattamente scritta; del resto, in tutte le tradizioni la formula pronunciata ha valore solo se pronunciata nella sua esatta forma. È quindi possibile che molti casi di crittografia rispondessero ad una sorta di cautela, dessero sì vita ai contenuti scrivendoli, ma addomesticandone in qualche modo la potenza; l’inaccessibilità delle tombe esclude invece che si volesse effettivamente nascondere il significato dello scritto, giacché i testi funerari presupponevano che mai nessun mortale avrebbe potuto leggerli”[2].

Non si può escludere una terza possibilità, ossia che la versione criptica degli scritti funerari paralleli fosse al contempo un testo esteso nella scrittura donata da un dio e avesse, magari proprio per questo, un potere magico. [BM&L-Italia, giugno 2024].

 

Quante migliaia di volte è stata ripetuta la falsità dal mese di febbraio quando l’abbiamo rilevata? È un piccolo ma significativo esempio di come chi compra l’uso dei media contribuisca a quella sottocultura mediatica che crea luoghi comuni su credenze erronee diseducando i cittadini. Un massmediologo si è preso la briga di contare quante migliaia volte dal mese di febbraio in cui abbiamo pubblicato una notula (10-02-24) lo spot pubblicitario televisivo è stato mandato in onda su reti nazionali ripetendo la falsità che la scienza non può distinguere un urlo di rabbia da uno di gioia, mentre lo spettrogramma acustico è assolutamente dirimente e, nella massima parte dei casi, la maggior parte delle persone ci riesce a orecchio. Il numero è astronomico, ma non importa in quanto tale, perché cambia aumentando di giorno in giorno. Se fossimo in una realtà in cui la civiltà e il bene comune prevalgono sul valore del profitto si sfrutterebbe questo mezzo di ripetizione per dire cose vere, giuste e utili. Ad esempio, uno spot contro il razzismo in cui si dice che per la scienza non esistono le razze nella realtà umana, ma solo varietà.

Ancora a febbraio, il 17, abbiamo pubblicato la notizia di uno studio in cui si dimostra che le capre sono in grado di distinguere nella voce umana la rabbia dalla gioia. Per comodità del lettore riportiamo qui di seguito il contenuto della “Notula” del 10-02-24:

Non è vero ciò che ripete ossessivamente una pubblicità televisiva, ossia che “per la scienza è impossibile distinguere un urlo di rabbia da un urlo di felicità”. È assolutamente falso. Se è possibile che ciascuno di noi, a un semplice ascolto, possa avere difficoltà in alcuni casi a distinguere le due opposte emozioni in una vociferazione spontanea, l’analisi dello spettrogramma acustico di un urlo offre elementi diacritici ben distinti. Semplificando, si può spiegare così la differenza ad un ascolto attento: le frequenze sonore dell’urlo di gioia sono più prossime a quelle della voce cantata, quelle dell’urlo di rabbia sono più prossime a quelle di un ruggito.

L’ideale, per combattere il formarsi di questa falsa nozione nel cervello degli Italiani, sarebbe ottenere di far mandare in onda uno spot di smentita ciascuna delle centinaia di migliaia di volte che si manda in onda quello pubblicitario; non potendolo fare perché privi di potere economico, ci accontentiamo di intervenire ogni tanto con queste notule, sperando di informare correttamente almeno i visitatori del sito su quanto sappiamo dagli studi di neurofisiologia e psicologia della percezione del suono della voce umana. [BM&L-Italia, giugno 2024].

 

Abjad: i numeri prima dei numeri e la vera tradizione della notazione araba. Sappiamo tutti che la notazione universale dei numeri (1, 2, 3, 4, 5, ecc.) comunemente detta delle “cifre arabe” proveniva in realtà dall’India, anche se non tutti sanno che l’invenzione non è indiana, in quanto si tratta della progressiva evoluzione asiatica di una notazione corsiva egiziana delle cifre.

Prima dell’introduzione in tutte le culture del codice universale attuale, esistevano al mondo tanti modi diversi di scrivere i numeri secondo tradizioni locali legate alla lingua, alla forma di scrittura adottata e ai fenomeni storici interessanti le specifiche aree etno-geografiche. Sappiamo che l’analogia antropomorfica delle cifre ha dominato nelle culture antiche, ma ragioni di spazio non ci consentono di approfondire questo aspetto, e qui ci limitiamo a ricordare che il cinque dei Romani antichi (V) era la stilizzazione di una mano aperta rivolta verso l’alto. E sottolineiamo che un aspetto universale, perché connesso con le esigenze comuni a tutti i cervelli nell’elaborazione della percezione visiva, consisteva nell’adozione di segni che potessero essere riconosciuti a colpo d’occhio: se si scrivono le cifre come trattini verticali, se sono pochi trattini si possono facilmente riconoscere al primo sguardo, se sono molti si è costretti a contarli; questo è il motivo del sistema sottrattivo e additivo dei Romani (IV = 4; VI = 6; IX = 9; XI = 11). Sempre per una ragione di leggibilità immediata, i Cinesi avevano scelto delle posizioni fisse e caratteristiche: il due lo scrivevano con due trattini orizzontali come il nostro segno di “uguale” (=).

Ma, se le cifre arabe erano in realtà cifre in corsivo egiziano modificate dagli Indiani, quali erano le vere cifre arabe?

Si chiamava abjad il modo di scrittura e seguiva un criterio che gli Arabi avevano assunto da culture più antiche; presente infatti già nella Grecia arcaica e in quasi tutti i popoli dotati di scrittura alfabetica: a ogni lettera dell’elenco è assegnato un valore numerico, con le prime nove lettere che valgono le unità da 1 a 9, le successive diciotto le decine da 20 a 90 e le centinaia da 100 a 900, mentre l’ultima lettera araba vale 1000. Nell’uso dell’alfabeto con questo valore non si segue l’ordine dell’arabo moderno, ma quello della tradizione più antica: a, b, j, d. Questa tradizione gli Arabi l’avevano appresa da quelle dei tempi più remoti della stessa area geografica, ossia dagli alfabeti fenicio, ebraico e siriaco. Da “abjd” viene la parola mnemonica abjad che indicava appunto il sistema di codificare i numeri con le lettere dell’alfabeto arabo. [BM&L-Italia, giugno 2024].

 

I fondamentalisti del “no”, il ritorno alla natura mancato e il cupio dissolvi nihilista. In questi giorni è venuta d’attualità in alcuni convegni filosofici l’idea di riportare alcune tendenze ideologiche contemporanee, quale quella di costituire gruppi di opposizione ad oltranza a terapie mediche, usi culturali, provvedimenti politici e indirizzi economici, alle tesi sostenute da Jean-Jacques Rousseau e altri filosofi del Settecento. L’accostamento delle azioni dei “fondamentalisti del no” – che solo in piccola parte propugnano il ritorno a una natura incontaminata contro ogni forma di civiltà – a tesi filosofiche bene strutturate e a lungo dibattute negli anni precedenti la Rivoluzione francese è stata presentata e criticata al Seminario sull’Arte del Vivere della nostra società scientifica. Qui di seguito si riporta una sintesi della discussione principale.

In Rousseau possiamo trovare la stessa assoluta certezza nella pretesa infantile di idealizzare come totalmente buona una realtà naturale degli inizi, che avrebbe preceduto la civiltà, fonte di tutti i mali, ma non troviamo l’annientamento nihilistico dei fondamentalisti del “no” odierni.

Per rendersene conto è sufficiente leggere la risposta epistolare di Voltaire all’invio da parte di Jean-Jacques Rousseau di una copia del suo Discours[3]:

 

Ho ricevuto, Monsieur, il vostro nuovo libro contro la specie umana; ve ne ringrazio. Piacerete agli uomini, ai quali dite le verità che li riguardano, ma non li emenderete. Non si può dipingere a colori più vivi gli orrori della società umana… Non si è mai messo in opera tanto ingegno nel volerci rendere bestie; vien voglia, leggendo la vostra opera, di camminare a quattro zampe [marcher à quattre pattes]. Tuttavia, essendo più di sessanta anni che ho perso questa abitudine, penso che mi sia purtroppo impossibile riprenderla…

Ammettete [però] che né Cicerone, né Varrone, né Lucrezio, né Virgilio, né Orazio ebbero la minima responsabilità nelle proscrizioni… Ammettete che Petrarca e Boccaccio non provocarono i guai dell’Italia…

I grandi delitti sono stati commessi da famosi ignoranti. Ciò che fa e farà sempre di questo mondo una valle di lacrime è la cupidigia insaziabile e l’orgoglio indomabile degli uomini… Le lettere nutrono l’anima, la correggono, la consolano; sono al vostro servizio, Monsieur, proprio mentre voi scrivete contro di loro…

Sono, molto filosoficamente e con la più tenera stima, il vostro umilissimo e obbedientissimo servitore.

Voltaire

 

È evidente che, nonostante il radicalismo provocatorio delle tesi di Rousseau e la sua ingenua concezione di un paradiso naturale perduto, esiste un confronto di idee, un dibattito, in cui Voltaire, senza fare sconti, rileva tutti gli errori di giudizio che si commettono nel sostenere tesi pregiudiziali così puerilmente generalizzate ed estremizzate, come nel dare le colpe degli uomini a degli oggetti astratti da loro creati[4]. Con i fondamentalisti del “no” dei nostri giorni, invece non esiste dialogo, perché non vogliono confronto, ma solo imposizione violenta della loro negazione; non hanno interesse a conoscere, capire ed agire di conseguenza, ma solo ad affermarsi distruggendo senso e valore. Rousseau aveva invece i suoi valori ideali: da quelli connessi alla purezza di spirito e quelli propri della reciprocità oblativa; le sue argomentazioni erano sbagliate, e Voltaire le confutava ma, allo stesso tempo, aveva rispetto per il suo autore, perché ne ammirava il credo in una possibilità di stare al mondo in un modo migliore di quello presente.

Anche se l’aspetto del desiderio di tornare allo stato di una natura incontaminata e all’idea che il male sia insito nella conoscenza e nel progresso, ha consentito l’accostamento degli integralisti del “no” ai protagonisti del nuovo pensiero del Settecento francese, la realtà ci presenta una massa di persone nemica della riflessione e del pensiero, impermeabile a ogni tentativo di presentare fatti e realtà contrari alle loro tesi, e del tutto ferme e appiattite sui loro slogan. Proprio il paragone con Rousseau – evidentemente scelto per alcune sue tesi estremiste – evidenzia la particolarità “acefala”, ossia irragionevole più che semplicemente irrazionale nella loro fissa staticità: sono bocche che parlano dicendo “no”, apparentemente non collegate a un cervello.

L’esempio più lampante lo abbiamo con i “no vax” ai quali è stato proposto in mille spiegazioni, accessibili anche a bambini di dieci anni, come e perché i vaccini hanno portato l’umanità da quella condizione in cui una mamma aveva sempre uno o due figli morti o con esiti morbosi a vita per malattie infettive dell’infanzia, all’aver eliminato questa causa di morte infantile e invalidità permanente. Letteralmente migliaia di trasmissioni televisive in tutto il mondo hanno presentato i fatti emersi dalle inchieste che dimostravano l’assoluta falsità dell’autismo da vaccini, in cui chi aveva creato delle false prove era stato corrotto e per questo era stato condannato, sia dalla magistratura sia dagli organismi di controllo per l’integrità della ricerca scientifica.

Ma questi fondamentalisti, impermeabili alla realtà, ripetono le falsità, le menzogne, le distorsioni e le invenzioni di vent’anni fa. L’accostamento a Rousseau di coloro che si scagliano contro la civiltà per colpire le conseguenze nefaste del modo in cui il progresso è stato interpretato dal mondo è plausibile, ma solo se si osserva che si tratta di una somiglianza esteriore di una breve fase del pensiero rousseauiano. Questa gente, caratterizzata dal meccanismo psicologico che sostiene il fanatismo religioso, non riflette, non ragiona, non vuol pensare, non vuol sapere, mentre Rousseau, pur avendo ceduto inizialmente all’uso dell’artificio retorico di impiegare argomenti a sostegno di una tesi non posta in discussione, riflette, ragiona, cerca il giusto nel mondo del vero, e procede con tutte le risorse della sua intelligenza in un cammino in cui conserva sempre una perfetta buona fede. E, per questo, Rousseau cambia idea su molte cose; anzi, è portato d’esempio per i suoi cambiamenti di dottrina sociale conseguenti alle diverse prospettive che assume nel corso degli anni. I fondamentalisti del “no” sono idolatri dell’ignoranza e nemici dell’intelligenza; Rousseau era un enciclopedista.

Rousseau era quasi anarchico nei primi discorsi, perché non si limita a condannare la proprietà come i comunisti del secolo successivo, ma condanna anche il governo e la legge; tuttavia, a brevissima distanza di tempo, pur conservando la tesi dell’uomo “naturalmente buono” incattivito dalla ricchezza e dalle istituzioni economiche, politiche e sociali, nel suo scritto pubblicato nel V volume dell’Enciclopedia nel 1755 cambia idea sul diritto di proprietà: “È evidente che il diritto di proprietà è il più sacro fra tutti i diritti dei cittadini e sotto certi aspetti è più importante della stessa libertà… La proprietà è il vero fondamento della società civile, e la vera garanzia degli impegni dei cittadini”[5]. Ma sostiene che la tassazione dei cittadini dovrebbe essere proporzionata alle proprietà e “alla quantità di beni superflui che posseggono”[6]; e specifica che non dovrebbero esistere tasse sul necessario, ma pesanti imposte sul lusso. È interessante notare che continua a tuonare contro le ingiustizie sociali e il favoritismo di classe espresso nelle leggi[7], e sostiene che l’istruzione pubblica debba essere finanziata dallo Stato[8]. In altri scritti immediatamente successivi, corregge il tiro anche a proposito degli argomenti del Discorso inviato a Voltaire, recependo una parte dei rilievi critici del suo illustre lettore.

Il pensiero di Rousseau si evolve, è un work in progress continuo, accetta la dialettica, la critica e cambia, anche nelle tesi enunciate nella forma più apodittica ed estrema, perché è prodotto da una testa pensante che ha un sincero interesse a sviluppare tesi che possano far migliorare soprattutto moralmente la famiglia umana. La tesi di primordi edenici di fratellanza idilliaca dell’umanità resiste pochi mesi. I fondamentalisti del “no” sono fermi e fissi da decenni, costituendo un ambito incistato nella società come ambiente chiuso in cui si entra rinunciando all’uso delle proprie risorse di intelletto per impugnare i vessilli delle frasi fatte da sbandierare, nella migliore delle ipotesi, o munirsi di tute, passamontagna e armi, nelle ipotesi peggiori. Le analisi sociologiche del fenomeno sono istruttive e dovrebbero farci comprendere che la cosa più impropria, inadeguata e insensata che si possa fare è trattare e rispettare questa forma chiusa, che si è comprata uno spazio di riconoscimento sociomediatico a suon di quattrini, come fosse un’opinione politica.

Abbiamo trattato in numerose occasioni dei black bloc in relazione ai no global, e non ritorneremo qui sulle illuminanti osservazioni che sono state proposte dagli studiosi del fenomeno, desideriamo solo evidenziare un aspetto: la disabitudine dell’uomo medio a riflettere per sviluppare una propria visione delle cose, porta in questi giorni ad equiparare quattro frasi di una propaganda ad una filosofia o a una religione, a mettere sullo stesso piano una forma vuota diffusa da una moda – ossia un altro genere di “forma vuota” – con lo sforzo di ricerca di contenuti antropologici di un filosofo in confronto dialettico con i protagonisti del pensiero della sua epoca.

Negli ultimi due decenni abbiamo assistito, soprattutto nella diffusione mediante social media, ai revival di idee, frasi e atteggiamenti di ogni sorta, hippie, underground, new age, ecc., spacciati per novità assolute, ma sempre come “prodotti di consumo visivo” che, al massimo, diventavano frasi a effetto da farsi tatuare sulla pelle bene in vista, in mostra come orecchini, piercing e chincaglieria varia di tendenza. Il mancato ritorno alla natura per motivi sotto gli occhi di tutti – a cominciare dall’idolatria della sessualità che è il trionfo dell’artificio, contro l’ordine della natura, che ha disposto il sesso solo per la riproduzione e non per l’industria del “tempo libero”, per finire con l’incapacità di rinunciare anche a una sola delle mille comodità della vita post-industriale – ha rivelato che quell’idea era, come la maggior parte delle suggestioni degli anni recenti, un tentativo di lanciare una moda senza convinzione, da parte di persone pronte a cambiare il giudizio in base al successo mediatico: una forma vuota. Dietro non c’erano teste pensanti, col desiderio di comprendere e agire di conseguenza, ma solo superficiali utenti di tutto che, alla prova dei fatti, se e quando devono agire in proprio, e non per eseguire i comandi delle leggi, delle mode, del vantaggio e del profitto, sanno solo distruggere, rivelandosi nella loro più pura identità nihilista: produttori del nulla. [Fonte: Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, giugno 2024].

 

Notule

BM&L-01 giugno 2024

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[1] Giorgio Raimondo Cardona, Storia Universale della Scrittura, p. 107, Edizione CDE (su licenza della Arnoldo Mondadori Editore), Milano 1986.

[2] Giorgio Raimondo Cardona, op. cit., p. 107.

[3] Will Durant così descrive questa risposta: “La risposta di Voltaire è una delle gemme della letteratura, della saggezza e delle buone maniere francesi” [Will e Ariel Durant in Rousseau e la Rivoluzione (4 voll.) vol. I, p. 46, Edito-Service S. A., Ginevra, per Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1968].

[4] Prendersela con la letteratura, con la storia o con la scienza.

[5] Cit. dal Social Contract (p. 271) in Will e Ariel Durant, Storia della Civiltà – Rousseau e la Rivoluzione (4 voll.), vol. I, p.47, Arnoldo Mondadori Editore ed Edito-Service Editore, Ginevra 1968.

[6] Will e Ariel Durant, op cit., idem.

[7] Will e Ariel Durant, op cit., idem.

[8] Will e Ariel Durant, op cit., idem.